29 gennaio 2014 “Filosofia e poesia”. By Giordano Mariani ¶ Posted in Op. Cit. “Filosofia e Poesia” «[…] Perché il poeta non può sapere chi è e neanche cosa cerca. Il filosofo, almeno, sa ciò che cerca e per questo si autodefinisce filo-sofo. Il poeta, poiché non cerca ma trova, non sa come chiamarsi. Dovrebbe adottare il nome di ciò che lo possiede, di ciò che lo prende colmando la dimora della sua anima, dell’impeto che lo trascina. Ma non sarebbe facile, perché solo a volte si sente rapito, indiato; altre volte si sente afferrato, irretito in sogni informi privi perfino di impeto, si sente vivere nella carne quando la carne è ancora opaca e non è stata resa trasparente dalla luce della bellezza. Come potrebbe chiamarsi il poeta? Perso nella luce, errante nella bellezza, povero per eccesso, folle per troppa ragione, peccatore in stato di grazia. Il filosofo cerca sentendosi incompleto e bisognoso di completamento, sentendo che la propria natura è stata alterata e volendo riconquistarla. II poeta nuota nell’abbondanza e nell’eccesso. Forse è proprio questa sovrabbondanza che gli impedisce di scegliere. Vivendo inondato di grazia non può raccogliersi in sé, cercare di essere se stesso e neanche sa di questo “se stesso” che è invece l’ossessione del filosofo. Perso nella ricchezza, cieco nella luce, peccatore in stato di grazia, egli vive secondo la carne e secondo la carità. Il percorso platonico è ben differente. Se pare sfiorare i bordi della parola peccato e della parola carità senza cadervi, significa che non poteva farlo. Questa lieve distanza non attraversata è essenziale per tutta la sua filosofia. Se una simile cosa fosse accaduta, tutto avrebbe dovuto essere riconsiderato dalla radice. Se Platone vuole salvare le apparenze, non può rinunciare a salvare l’amore che nasce dalla carne, ma per farlo deve separarlo da questa. Tutta la teoria platonica dell’amore si fonda sul distacco dal corpo, inserendo il corpo stesso nel processo della dialettica, della conoscenza che conduce all’essere – all’essere che è e ad essere “io” con ciò che è. Parallelamente alla dialettica, vi è l’ascendere della bellezza. La bellezza ha il privilegio di essere interamente visibile. L’essere vero è occulto, l’unità e il bene, il divino, non sono visibili. Solo la bellezza ha il privilegio di manifestarsi sensibilmente senza per questo cadere nel non-essere. Si potrebbe dire che essa è l’unica apparenza vera.[…]». Maria Zambrano, “Filosofia e Poesia”, a.c. di P. De Luca, Bologna, Edizioni Pendragon, 2010